Da qualche tempo ci viene ripetuto in continuazione che siamo nell’era della longevità.
La constatazione, alla portata di tutti, che mediamente stiamo vivendo più a lungo dei nostri nonni e dei nostri avi, è diventata la certezza e la promessa di una nuova fase in cui l’umanità sfonda i limiti massimi di età che ci siamo sempre immaginati.
Staremmo per iniziare una nuova era in cui gli ottanta diventano i nuovi sessanta e in cui i novanta, i cento, i centodieci, i centovent’anni non sarebbero più una felice eccezione, ma un traguardo alla portata dell’umanità. Qualcuno si è addirittura spinto a parlare di “immortali”.
In questa prospettiva, dovremmo tutti prepararci ad una estesa quarta età (forse ad una quinta) e soprattutto dovremmo imparare a vederne le novità esistenziali.
Così come dovremmo imparare a comprenderne le conseguenze economiche e sociali, sia in termini di impossibilità di tenuta del welfare per come lo conosciamo finora, sia per le opportunità che si aprirebbero per le imprese capaci di cogliere desideri ed esigenze di questo sconfinato nuovo mercato.
Ma è davvero così? Davvero ci stiamo avviando ad una stagione in cui saltano i limiti massimi di vita e si stanno scardinando alcune fondamenta dell’esperienza umana?
Davvero siamo all’inizio di una nuova stagione o non siamo invece già arrivati a sperimentare i nostri limiti massimi?
Il dibattito intorno a quest’ultima domanda per la verità non è nuovo: negli ultimi decenni si sono alternati anche tra gli scienziati e gli studiosi gli “ottimisti”/”utopisti” che pensano che l’essere umano ha solo iniziato la sua camminata verso una lunghissima vita e i “pessimisti”/”realisti” che invece ritengono che i successi che abbiamo indubbiamente ottenuto nell’allungamento della vita non potranno proseguire più di tanto.
Ad esempio, ad inizio anni Novanta si ipotizzò che l’umanità si stesse avvicinando al limite superiore dell’aspettativa di vita nelle popolazioni longeve, poiché i primi progressi derivanti dal miglioramento della salute pubblica e dell’assistenza medica erano stati in gran parte raggiunti, lasciando l’invecchiamento biologico come rischio primario.
Successivamente, è stato affermato che questa visione limitata della durata della vita non teneva conto dei progressi in corso in medicina e biologia, che l’estensione radicale della vita (convenzionalmente l’estensione radicale della vita avviene quando si manifesta un aumento annuale di 0,3 anni nell’aspettativa di vita alla nascita) era già iniziato o che si sarebbe presto verificato a causa dell’ulteriore scoperta di tecnologie mediche in grado di estendere la vita oppure grazie a miglioramenti continui e diffusi nei fattori di rischio comportamentali.
Una ricerca pubblicata recentemente (ottobre 2024) su Nature Aging sicuramente contribuisce a spegnere molti entusiasmi tra i più ottimisti: saremmo arrivati vicini al tetto massimo e il sogno di vivere oltre i cento anni non sarebbe alla portata dei più.
La ricerca è stata svolta con i dati di Paesi ad alta longevità (Australia, Francia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Hong Kong, Stati Uniti) e ha esplorato le recenti tendenze dei tassi di mortalità e dell’aspettativa di vita in questi Paesi, concentrandosi sulle tendenze in atto a partire dal 1990.
“Nel corso del XX secolo – dicono i ricercatori – l’aspettativa di vita umana alla nascita è aumentata di circa 30 anni nei paesi ad alto reddito, in gran parte grazie ai progressi nella sanità pubblica e nella medicina”.
Invece, “dal 1990 i miglioramenti complessivi nell’aspettativa di vita hanno subito un rallentamento”.
In particolare, nel decennio più recente il miglioramento dell’aspettativa di vita è più lento rispetto all’ultimo decennio del ventesimo secolo. In altre parole, è diventato progressivamente più difficile aumentare l’aspettativa di vita.
Inoltre – proseguono i ricercatori – “la nostra analisi suggerisce che la sopravvivenza fino a 100 anni difficilmente supererà il 15% per le femmine e il 5% per i maschi, suggerendo complessivamente che, a meno che i processi di invecchiamento biologico non possano essere notevolmente rallentati, un’estensione radicale della vita umana non è plausibile in questo secolo”.
Mettiamoci il cuore in pace: solo pochi fortunati tra noi senior diventeranno centenari e, ahimè, ancor meno saranno coloro che arriveranno a questo traguardo in condizioni di salute non precarie.