La levità della morte – Il Memoriale Brion

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Intervista a Lucia Borromeo – FAI (Fondo Ambiente Italiano)

Questa intervista è la prima del suo genere all’interno dell’argomento Spiritualità. Non c’è una persona che parla di sé e della sua relazione con i grandi temi della vita e della morte, ma un’esperta che racconta un monumento funebre e, attraverso questo, di un imprenditore: Giuseppe Brion il fondatore della Brionvega, un architetto, Carlo Scarpa e, alla fine, anche un po’ di sé.

Parliamo con Lucia Dina Borromeo, storica dell’arte, da 24 anni al FAI – Fondo Ambiente Italiano, dove si occupa di ricerche storico-artistiche e di divulgazione.

L’oggetto dell’intervista è il Memoriale Brion, un complesso funerario voluto dalla famiglia Brion e progettato da Carlo Scarpa. Ma il tema è la celebrazione della morte come passaggio inevitabile, che può essere vissuto in modo poetico e in qualche modo lieve.

Scarpa ne parlava così: “Questo è l’unico lavoro che vado a vedere volentieri perché mi sembra di aver conquistato il senso della campagna, come volevano i Brion. Tutti ci vanno con molto affetto; i bambini giocano, i cani corrono: bisognerebbe fare tutti i cimiteri così” (F. Dal Co e G. Mazzariol – Mille cipressi, conferenza tenuta a Madrid nell’estate 1978 – in Carlo Scarpa, Opera completa, Electa 1984, pag. 286)

Buongiorno dr.ssa Borromeo. Ci racconta il memoriale Brion?

Il complesso funerario è stato costruito nel Cimitero di San Vito di Altivole (TV), in una posizione aperta verso i colli di Asolo e le Prealpi. Scarpa organizza lo spazio su tre siti. Il primo è costituito dai sarcofagi di Giuseppe Brion e della moglie Onorina.

Sono all’aperto, sopra terra, in mezzo ad un prato, leggermente piegati l’uno verso l’altro e appena coperti da un arco. Scarpa ricordava come i due avessero avuto un matrimonio felice e si immaginava che si sarebbero potuti incontrare ancora dopo la morte.

Camminando sull’acqua attraverso passerelle in cemento, ci si sposta nella zona dove sono collocate le lapidi dei parenti, sotto una copertura che si appoggia solo su due lati, completamente esposta all’aria e alla luce.

Proseguendo su un corridoio coperto si arriva ad una cappelletta, molto luminosa e leggera, che guarda verso l’acqua ed il prato. Infine, dopo una breve sosta in un giardinetto al di là di una vasca d’acqua, si ritorna sui propri passi, si superano i sarcofagi e si arriva a un Padiglione che ricorda le costruzioni orientali, con copertura e montanti molto leggeri.

È il Padiglione della meditazione, un luogo che guarda verso il campanile del paese, i colli e le montagne sullo sfondo. Scarpa lo aveva immaginato come un luogo di serenità e di speranza dopo il dolore.

Il memoriale viene presentato dal FAI come un luogo dove si incontrano culture e religioni diverse. Ci spiega cosa vuole dire?

Scarpa aveva assimilato diverse influenze. Era affascinato dall’oriente ed in particolare dal buddhismo. Era di Venezia e portava dentro di sé sia Bisanzio che la cultura araba. In entrambe le tradizioni, anche se per motivi diversi, l’acqua è un elemento fondamentale, generatrice di vita, sempre mobile, che rende mutevoli anche le superfici architettoniche.

La leggerezza e la linearità delle forme sono temi che poi l’architetto ritrova nelle costruzioni giapponesi. Scarpa non professava alcuna religione ma in qualche modo credeva in una vita dopo la morte e ha voluto dare forma a una riflessione fondamentalmente laica, ma non per questo priva di speranza.

Nei primi disegni aveva inserito qualche simbolo cristiano, ma man mano che il progetto si definiva questi elementi vengono eliminati.

Quali sono i temi che il memoriale racconta?

Sicuramente l’importanza dell’individualità anche dopo la morte. Scarpa non sopportava “le scatole da scarpe” come le chiamava, una sopra l’altra, tutte uguali, anonime.

Poi, importantissimo, la continuità tra la morte e la vita attraverso la natura: l’acqua che dà la vita e si muove continuamente, in un luogo dove tutto è immobile, i prati e le montagne sullo sfondo, il cielo sempre visibile.

In uno schizzo aveva disegnato delle donne sedute sulla panca all’interno del Padiglione ed una in particolare sembra essere incinta, quasi un’allusione, secondo alcuni, alla vita che continua, proprio in un luogo che commemora la vita che finisce.

E poi gli affetti famigliari: intorno al memoriale c’è un muro inclinato all’interno che ne fa una specie di culla, una protezione che però non isola totalmente dall’esterno.

E alla fine direi anche un po’ di umorismo. Scarpa è sepolto nel memoriale e avrebbe voluto essere inumato in posizione verticale, perché immaginava che con il passaggio della gente si potesse sentire il ticchettio delle ossa che un po’ alla volta cadevano sul fondo. Un modo anche per continuare il dialogo con la moglie.

In questo memoriale Scarpa “parla” di se stesso o di Giuseppe Brion?

Ovviamente non sappiamo cosa ne avrebbe pensato Giuseppe Brion ma i due si conoscevano bene e si stimavano. I famigliari, a partire dalla moglie e dal figlio Ennio, erano molto contenti del progetto, lo giudicavano poetico e coerente con i loro sentimenti e le emozioni. Possiamo immaginare che anche Giuseppe Brion sarebbe stato d’accordo. Direi che Scarpa ha parlato per tutti e due.

Cosa ha significato per lei lavorare sul memoriale Brion?

Il mio sogno è sempre stato di studiare e di scrivere di arte e con l’andar degli anni ho potuto appagare il mio desiderio. All’interno del mio percorso professionale è entrato quindi anche il Memoriale, al momento come passo finale. Conoscevo già il luogo, ma ora è diventato terreno di indagine quotidiana. In questo modo ho anche potuto riprendere gli studi su Carlo Scarpa, iniziati più di dieci anni fa, con l’affidamento al FAI del Negozio Olivetti a Venezia.

Non penso molto alla mia morte, quel che sarà, sarà. In questo momento mi interessa di più la vita. Condivido con Scarpa il rapporto con la natura e anche la vena ironica…al mio funerale mi piacerebbe ci fosse un po’ di allegria. Se un giorno sul mio posto in terra si volesse far crescere un albero che desse un po’ di serenità a chi passasse di lì, ecco, allora andrebbe bene anche per me.

Tre persone: un imprenditore, un architetto ed una storica dell’arte, che concepiscono la vita come opportunità per esprimere se stessi e far fiorire le loro capacità, e guardano alla morte con una certa leggerezza, un passaggio inevitabile, triste ma sereno, in continuità con la vita.

Foto Luca Chiaudano, 2022 © FAI

FONTE: https://osservatoriosenior.it/2024/01/la-levita-della-morte-il-memoriale-brion/