Tieni il tempo: una breve introduzione ai ritmi biologici

Quanti sono gli “orologi” nel nostro organismo? E come funzionano? Un viaggio affascinante attraverso la cronobiologia, i ritmi biologici che regolano i processi del corpo umano

(di Nicola Romanò – Editor: Carola Salvi)

(Revisori Esperti: Elena Mutti, Nicoletta Plotegher
Revisori Naive: Aristotele Karytinos, Lodovica Loschi)

Osservando la natura, ci si rende conto dell’esistenza di fenomeni ritmici che coprono archi di tempo di diversa lunghezza. Si va da ritmi brevi come quelli della respirazione o del battito cardiaco, a fenomeni che durano ore come i cicli sonno/veglia o l’apertura dei fiori, fino ad eventi della durata di mesi o anni, come nel caso del letargo, o degli equilibri preda/predatore. Esistono poi altri ritmi nascosti all’osservazione diretta, come i ritmi dell’attività cerebrale, della secrezione ormonale e l’attività dei geni a livello delle singole cellule. Ci domandiamo dunque: come fa un sistema biologico a “tenere il tempo”? Alcuni fenomeni sono legati ai movimenti del nostro pianeta, come nel caso dei ritmi sonno/veglia, correlati all’alternanza del giorno e della notte, o i tempi del letargo legati alle diverse stagioni [1]. Si tratta dunque di una semplice risposta a stimoli esterni come luce e temperatura? In tal caso come spiegare fenomeni della durata di secondi, poche ore, o di diversi giorni? Questo articolo sarà una breve introduzione alla cronobiologia, ossia il ramo della biologia che si occupa dello studio dei fenomeni periodici nei sistemi biologici.

BREVE STORIA DELLA CRONOBIOLOGIA

Le prime osservazioni sui ritmi biologici di cui siamo in possesso risalgono all’antica Grecia: nel IV secolo A.C. Androstene riporta che le foglie del tamarindo si aprono durante il giorno e chiudono di notte. Simili osservazioni si ritrovano negli scritti di molti studiosi in tutte le epoche, ma si dovrà attendere il XVIII secolo per il primo esperimento mirato a comprendere i meccanismi di questi fenomeni.

Nel 1729, l’astronomo francese Jean-Jacques d’Ortous de Mairan, incuriosito dal comportamento della Mimosa pudica (pianta comunemente nota col nome di sensitiva, le cui foglie si aprono di giorno e chiudono di notte), effettua un semplice, ma decisivo, esperimento per determinare se questo movimento fosse dovuto alla luce del sole. De Mairan mette delle piante di sensitiva costantemente al buio, ed osserva che il movimento delle foglie continua indisturbato, conclude quindi che l’esposizione alla luce non è la causa diretta del movimento [2]. Esperimenti condotti nei decenni successivi, dimostrano che questi ritmi continuano anche a temperatura costante. La prova che derivano da proprietà intrinseche delle cellule e non dipendono direttamente da fattori esterni sarà tuttavia presentata solo all’inizio del ‘900.

Il XX secolo vede un interesse sempre più forte nello studio dei ritmi biologici: viene infatti mostrata la presenza di questi ritmi innati anche negli animali e nell’uomo. Un affascinante risultato di questi studi è che quando si passa da una situazione di alternanza luce-buio, ad una di temperatura e buio costanti, la durata di alcuni ritmi giornalieri non è più di 24 ore ma può aumentare o diminuire. Questo porta alla nascita del termine “circadiano”, dal latino circa dies ossia “circa un giorno”, termine coniato negli anni ’50 dal biologo tedesco Franz Halberg [3]. Il ritmo indipendente dalla luce viene chiamato con il termine inglese “free?running” (a corsa libera) e può essere più lungo o più breve di 24 ore (ad esempio, nell’uomo è di circa 24.5 ore, mentre nel topo è 23.6). Il ritmo endogeno dell’organismo è dunque circa di 24 ore, la luce sincronizza questo ritmo endogeno con le condizioni ambientali.

Il 1960 segna una data molto importante nella storia della cronobiologia: a Cold Spring Harbor viene tenuto il primo congresso internazionale di cronobiologia, dove ben 157 partecipanti contribuirono a dare forma alle successive scoperte riguardanti i meccanismi cellulari e molecolari degli orologi biologici [4-5]. Negli anni ’60 era oramai chiaro che tutti gli animali e le piante possiedono un “orologio interno”, e negli anni ’80 la stessa cosa venne confermata anche per i batteri.

UN SOLO OROLOGIO CENTRALE O TANTI OROLOGI SPARSI NELL’ORGANISMO?

L’osservazione del fatto che i ritmi circadiani esistono in quasi ogni specie portò molti scienziati a chiedersi se esistesse un “orologio” anatomicamente ben definito nell’organismo. I primi esperimenti a riguardo permisero di trovare la localizzazione dell’orologio centrale in varie specie di insetti e molluschi, ed in fine anche nei mammiferi. Esso è situato a livello di una zona del cervello chiamata ipotalamo, in particolare nella regione nota con il nome di nucleo soprachiasmatico (SCN). L’SCN fu identificato all’inizio degli anni ’70, grazie ad esperimenti che mostrarono che, se questa zona è danneggiata, si osserva una perdita dei ritmi circadiani. La ritmicità circadiana si ritrova anche a livello dell’attività elettrica delle singole cellule (neuroni) che lo compongono. Sorprendentemente, anche quando i neuroni del SCN vengono isolati e fatti crescere in una situazione artificiale in vitro, continuano a mantenere l’attività ritmica anche per diversi giorni.

Le affascinanti caratteristiche dell’SCN generarono la convinzione che fosse l’unica sede dei ritmi circadiani. Questo (mai dimostrato) “dogma” venne in seguito smentito, dimostrando che esistono anche “orologi periferici” a livello di diversi organi, che sono modulati dall’orologio centrale. Infatti, é possibile mostrare ritmi circadiani nel fegato, nell’ipofisi, nel cuore, nei reni ed in molti altri tessuti.

UN PICCOLO OROLOGIO CELLULARE: I GENI CLOCK

La presenza di ritmicità circadiana in tutti gli organismi, ed in vari organi, porta a chiedersi quali siano le basi molecolari di questi ritmi a livello della singola cellula, ossia quali geni e proteine regolano questo meccanismo. Dagli anni ’50 fino ad oggi una grandissima quantità di esperimenti hanno studiato questi meccanismi. Come molti altri processi cellulari, anche la capacità di tenere il tempo dipende da una serie di proteine, che formano il cosiddetto “orologio molecolare”.

L’interazione fra queste proteine porta ad un ciclo di attivazione ed inattivazione di geni, chiamati: geni controllati da Clock (Clock controlled genes o CCG).

Come forse avrete già indovinato, questi eventi durano approssimativamente 24 ore. É stato mostrato che il 10-30% dei geni di un tessuto sono controllati dall’orologio molecolare e questa percentuale varia nei diversi tessuti dell’organismo, i quali, di conseguenza, rispondono in maniera differente allo stesso stimolo. Le implicazioni cliniche di questo meccanismo sono molto rilevanti se consideriamo che moltissimi farmaci possono interagire con questi geni. Ad esempio, l’orario del giorno in cui viene effettuata la chemioterapia ne influenza l’efficacia e gli effetti collaterali [6]. Recentemente il concetto di cronoterapia, ossia la somministrazione di farmaci a orari ben definiti per aumentarne l’efficacia (diminuendo le dosi e di conseguenza gli effetti collaterali), inizia ad essere sempre più accettato nella pratica medica.

I RITMI NON CIRCADIANI

Abbiamo finora parlato di ritmi circadiani, ossia ritmi con una durata di circa 24 ore. Esistono tuttavia altri fenomeni che si ripetono con frequenze diverse: i ritmi ultradiani nel caso di un periodo più breve e i ritmi infradiani nel caso di ritmi più lunghi. Molti processi fisiologici si ripetono con un ritmo ultradiano, ad esempio le onde cerebrali osservate in un elettroencefalogramma. Queste vengono distinte in varie categorie (Alpha, Beta Gamma etc.) in base alla loro frequenza derivata dalla somma dell’attività elettrica coordinata di migliaia di neuroni nel cervello. Un altro esempio sono i ritmi ormonali. Infatti la maggior parte degli ormoni nel nostro organismo sono prodotti e rilasciati in maniera pulsatile, e non costante come penseremmo. La ritmicità della secrezione ormonale è importante per la funzione degli ormoni stessi. Un classico esempio è quello dell’ormone della crescita (GH) che nell’uomo oscilla fra livelli di base molto bassi e picchi molto alti, mentre nella donna ha dei picchi più piccoli, ma livelli di base più elevati. Queste diverse modalità di secrezione di GH producono effetti fisiologici diversi ad esempio a livello del fegato, della crescita, e dello sviluppo della massa muscolare.

Sebbene i ritmi ultradiani ed infradiani siano stati oggetto di molteplici studi, gli esatti fenomeni che portano alla loro genesi non sono ancora chiari. Molte domande restano aperte: Come fa un orologio molecolare che scandisce 24 ore a generare ritmicità più corte o lunghe? Esistono altri sistemi di regolazione? Quali sono i collegamenti fra ritmi circadiani, ultradiani ed infradiani?

Queste sono alcune delle sfide che la cronobiologia dovrà affrontare nei prossimi decenni. É stato mostrato che animali che mancano di alcuni dei geni dell’orologio circadiano hanno variazioni in ritmi non circadiani, come alcuni ritmi cerebrali, i ritmi infra- e ultradiani ormonali, e quelli dell’attività cardiaca; siamo tuttavia lontani dal comprendere come tutti questi complessi meccanismi comunichino tra loro e come si passi dagli eventi a livello delle singole cellule ai fenomeni a più larga scala nell’organismo.

Bibliografia

  1. Roenneberg, T. & Merrow, M. Circadian clocks – the fall and rise of physiology Nat. Rev. Mol. Cell Biol.6,965–971 (2005)
  2. D’Ortous de Mairan, J.-J. Histoire de l’Académie royale des sciences … avec les mémoires de mathématique & de physique… tirez des registres de cette Académie. (Imprimerie de Du Pont (Paris), 1729)
  3. Halberg, F. et al.Transdisciplinary unifying implications of circadian findings in the 1950s. J. Circadian Rhythms1, 2 (2003)
  4. Menaker, M. Circadian clocks: 50 years on. Cold Spring Harb. Symp. Quant. Biol.72,655–659 (2007)
  5. Chovnick, A. & Biology, C. S. H. S. on Q. Biological Clocks: (5.-14. June, 1960). (Biological Laboratory, Long Island Biological Ass, 1960)
  6. Lévi, F. Circadian chronotherapy for human cancers. Lancet Oncol.2,307–315 (2001)

AUTORE: Nicola Romanò – Laureato in Biotecnologie Farmaceutiche presso l’Università degli Studi di Milano, dal 2005 Nicola Romanò lavora nel campo della neuro-endocrinologia, studiando le relazioni fra cervello e sistemi ormonali con particolare interesse nel capire come i ritmi di produzione degli ormoni ne influenzino la funzione. Dopo la laurea ha svolto un dottorato di ricerca in fisiologia all’University of Otago (Dunedin, Nuova Zelanda), studiando gli effetti dell’estrogeno sui circuiti neuronali che controllano la fertilità. Tornato in Europa, a Montpellier, ha proseguito le sue ricerche studiando “plasticità” e “memoria” di un altro sistema ormonale, quello che produce la prolattina. Nel 2014 si è trasferito a Edimburgo dove studia i meccanismi di produzione degli ormoni legati allo stress, come il cortisolo.

Fonte: https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/i-blog-della-fondazione/il-blog-di-airicerca/tieni-il-tempo-una-breve-introduzione-ai-ritmi-biologici